Al Paladozza con la Fortitudo come ai raduni di Star Trek
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Domenica al PalaDozza ha preso il via un grande gioco di simulazione collettiva. Si chiama "facciamo finta che siamo in serie A". Andare a vedere la Fortitudo è come partecipare a quei raduni per fans di Star Trek, dove son tutti vestiti con la tutina spaziale e le orecchie a punta, o a quei wargame del week end animati da ragionieri fanatici che, addobbati come Rambo, si inseguono tra i rovi col mitra che spara pommarola.
Ognuno si diverte come può. E la prima puntata del virtual game biancoblù è riuscita molto bene: sorvolando sulle sfumature (tipo il livello della partita), mica si notava la differenza. Mio figlio di sette anni, ad esempio, non s´è accorto di nulla, e non valeva la pena rovinar tutto con spiegazioni penose. Il palasport era pieno e rumoroso come sempre, con le stesse facce di sempre sulle stesse sedie di sempre: roba da oscar alla scenografia.
In fondo anche "Gangs of New York" l´han girato nel cartongesso di Cinecittà. La Fossa ha allestito la sua messinscena con una professionalità che è ormai un´eccellenza del Made in Italy, pretendendo a tratti che il resto delle gradinate non solo s´alzasse ma si mettesse anche a ballare un nuovo poroppoppò. Il coro "Muro-Muro" aveva la stessa intensità di quelli intonati ai bei tempi per Sale Djordjevic, seduto in tribuna (e tu pensa alle volte che lo abbiamo anche criticato...). Ma l´apoteosi dell´autoironia s´è toccata con il refrain sulle note di Enola Gay («perché la Summer Cup è una coppa bellissima... «) e l´inno per Gennaro Sorrentino su quelle di O Sarracino («O Sorrentino bellu guagliooone»). Come ci pigliamo per il culo da soli, neanche i virtussini possono riuscirci.
Più che basket, quest´anno è un Monopoli di massa. Il signor Sacrati, che di baiocchi finti s´intende, voleva portarci al Parco delle Stelle - nuova versione immobiliare del Parco della Vittoria - e invece, ci ha rimandati tutti alla casella del Via. Il bello è che, ovviamente per una questione di orgoglio personale, siamo anche riusciti a farcelo piacere: in fondo, la Messa si celebra a San Pietro come nell´ultima capanna di periferia, quel che conta è crederci. La partita è un rito liturgico comunque. Ma, diciamolo, in quale altro posto del mondo l´artefice di questa sciagura sportiva avrebbe potuto presentarsi sereno come il sole in tribuna senza neanche rimediare un vaffa?
Encomiabile fino alla commozione anche la prestazione del parterre che, sin dalla prima fischiata, s´è avventato con la consueta volgare abnegazione sulle transenne per schiumare insulti bavosi agli arbitri, del resto indubbiamente gratificati da tanta acrimonia (vuoi mettere farsi scorticare dal PalaDozza? Un sogno che si realizza) al punto da mostrare, al momento opportuno, la loro riconoscenza. Anche gli avversari, in particolare Nobile (chissà poi perché), sono stati omaggiati di contumelie personalizzate, perché non si sentissero snobbati. E meno male che c´era anche un moretto dalla mano calda (Guye, 27 punti) nella parte del cecchino straniero cattivo a prendersi i suoi bravi bubù razzisti. Un´allegoria di serie A perfetta, se ci metti anche il brivido della rimonta subita e lo sprint vincente nel finale, nel miglior stile Effe.
Poi, certo, qualche dettaglio rischia di rovinare la fiction, ma ci si può lavorare: le divise sociali in panchina son ridotte ad una polo e ognuno ci mette sotto la braga che vuole (il dottor Quadrelli faceva miglior figura in giacca e cravatta). Anche il tasso generale di gnocca circolante è sensibilmente calato, con tutto il rispetto e la gratitudine per le presenti.
Così si gioca solo in purgatorio, gente. L´atteggiamento scelto per sopravvivere è questo: non siamo noi che siamo andati in C, ma è la C che è venuta da noi. Se la Bologna del calcio ha finto che quello col Crevalcore fosse un derby, quella del basket si arrangerà benissimo con Ozzano. Facciamo finta che sia una vacanza: meglio una settimana al sole di Pinarella che sotto la burrasca alle Maldive. Non si vorrà mica far dire in giro che la Virtus in Legadue ebbe maggior spirito di adattamento? Ci vuole competitività anche nell´arredare le disgrazie. Purché, s´intende, si tratti di una sistemazione provvisoria. Altrimenti finisce che anche le aquile nel loro piccolo si incazzano, prima o poi.