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L'intervista ad Ettore Messina su corriere.it (26 marzo 2017)

Ettore Messina, com’è la vita da assistente a San Antonio? Ormai sono quasi tre anni che sta seduto vicino a Popovich.
«Vuol dire che ho ottime frequentazioni».

Il ruolo non comincia a starle un po’ stretto?
«Sto benissimo, ho la fortuna di stare nella Nba in una squadra che vince molto spesso. Sì, mi ritengo un fortunato, lo ero anche quando stavo in Europa».

Che cosa le piace dell’ambiente in cui sta?
«È un ambiente costruttivo, coeso, dove hai sempre la prospettiva di poter giocare per vincere. E dove quando si perde, lo si fa sempre con grande classe. Qui non si fanno mai processi sommari».

In Italia sì?
«Dico solo che qui c’è un’altissima considerazione del concetto di gioco. È un gioco, prima di tutto, come i dadi: puoi vincere, puoi perdere. Puoi preparare meticolosamente una partita, poi il tuo tiro si ferma sul ferro, quello degli avversari ruota attorno al canestro ed entra, e hai perso».

Non le manca l’adrenalina da capo allenatore?
«Premesso che Pop ha un modo molto ampio di delegare, lascia grandissimo spazio agli assistenti, lascia che sia tu a comunicare con la squadra, a prendere decisioni...».

Premesso questo?
«...mentirei se dicessi che non mi manca allenare in prima persona. Ed è per questo che ho trovato bello tornare sulla panchina della Nazionale».

Anche se è andata come è andata.
«Il preolimpico rimane una ferita aperta».

E il futuro?
«Il futuro è ancora da definire. Intanto la condizione necessaria è che l’Italia faccia un buon Europeo. Dopodiché vedremo».

Le "finestre" della Nazionale durante l’anno rischiano di metterla in difficoltà...
«Questo è un tema che le Federazioni si devono porre. Per esempio: di sicuro Popovich non mollerà gli Spurs durante la stagione. Probabilmente gli Usa per le qualificazioni pescheranno dalla D-League, affidando i giocatori a un allenatore a tempo».

E che cosa farà Petrucci?
«Le alternative sono due: o avere un allenatore a tempo pieno, e allora non potrei essere io, o fare la scelta di un allenatore “estivo” e di un assistente “invernale”».

La Fip sembra orientata verso la seconda ipotesi.
«Non mi sono posto il problema. Al momento per noi è più importante il tema giocatori».

In che senso?
«Nel senso che a noi mancherebbero Gallinari e Belinelli, e pure Melli se davvero dovesse andare a giocare in Nba. In più bisognerebbe verificare la disponibilità dei giocatori di Eurolega. Ma questo è un problema futuro. Il presente mi dà altre preoccupazioni».

Di chi sta parlando?
«Ovviamente di Bargnani e di Gentile. Vivo nell’apprensione/speranza che ritrovino se stessi, perché all’Italia servono giocatori forti e motivati. E aspetto buone notizie da Hackett, anche se è chiaro che avere tre giocatori che arrivano da una stagione giocata in qualche modo, o peggio non giocata, è un problema».

Note positive?
«Paradossalmente il gruppo di Milano: in un momento di traversie ha contribuito al recupero di un’identità di squadra. E poi Luca Vitali, Filippo Baldi Rossi e Riccardo Cervi, che stanno brillando in ruoli chiave».

Ha parlato di Milano. Dada Pascolo?
«Pascolo lo scorso anno mi ha impressionato. Forse nel ritiro preolimpico non ha avuto la possibilità di mettersi a proprio agio, i tempi erano stretti. Doveva solo convincersi di essere a quel livello lì, ora finalmente l’ha capito».

Nik Melli?
«Melli per sua bravura è entrato nella categoria degli scontati, di quelli che è ovvio che ci siano».

Ha scritto sul biglietto da visita "Ettore Messina, il primo coach non americano a guidare una squadra Nba"?
(risata) «È capitato per un paio di partite...».

Quando le dicono che lei prima o poi diventerà capo allenatore di una franchigia Nba, lei che cosa risponde?
«Non rispondo nulla. In tanti mi dicono che potrebbe capitare in qualche altra squadra. Detto questo, è una cosa su cui non ho il minimo controllo. Potrebbe capitare, così come potrebbe capitare di valutare con mia moglie un’opportunità in Europa».

E se questa opportunità arrivasse?
«La valuterei, senza dubbio».

A proposito di ritorno al passato, ha visto il derby di Bologna in tv?
«Ho avuto sentimenti contrastanti. Ovviamente l’ho visto: da un lato sensazioni bellissime per un palasport strapieno, dall’altro l’amarezza per un derby da A2».

Nostalgia?
«Tanta».

Roberto De Ponti