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Caso Moro, ex poliziotto all’Ansa: “I Servizi protessero le Br in via Fani”

Ultimo Aggiornamento: 23/03/2014 21:17
23/03/2014 15:58


Caso Moro, ex poliziotto all’Ansa: “I Servizi protessero le Br in via Fani”
L'ispettore Enrico Rossi, ora in pensione, rivela il contenuto di una lettera scritta da uno dei due presunti passeggeri della Honda che bloccò il traffico il giorno del rapimento, il 16 marzo 1978: "Dipendevo dal colonnello del Sismi Guglielmi. Dovevamo proteggere i terroristi da disturbi di qualsiasi genere"




“I Servizi protessero le Brigate Rosse in via Fani durante il rapimento di Aldo Moro“. Pochi giorni dopo il 36esimo anniversario dell’agguato in via Fani del 16 marzo 1978, dal racconto di un ex ispettore spuntano nuovi elementi sul caso Moro, contenuti in una lettera scritta – secondo il poliziotto – da uno degli uomini in sella della moto Honda presente tra via Stresa e via Fani durante il rapimento.

“Tutto è partito da una lettera anonima scritta dall’uomo che era sul sellino posteriore dell’Honda in via Fani. Diede riscontri per arrivare all’altro, quello che guidava la moto”. Enrico Rossi, ispettore di polizia in pensione, svela all’Ansa la sua inchiesta passeggiando sulle colline di Torino, a due passi da Superga. Spiega che, secondo colui che inviò la lettera anonima – che si qualificava come uno dei due sulla moto – gli agenti avevano il compito di “proteggere le Br da disturbi di qualsiasi genere. Dipendevano dal colonnello del Sismi Camillo Guglielmi che era in via Fani la mattina del 16 marzo 1978″.

Tutta l’inchiesta è nata da una lettera anonima inviata a un quotidiano nell’ottobre 2009. Eccola: “Quando riceverete questa lettera, saranno trascorsi almeno sei mesi dalla mia morte come da mie disposizioni. Ho passato la vita nel rimorso di quanto ho fatto e di quanto non ho fatto e cioè raccontare la verità su certi fatti. Ora è tardi, il cancro mi sta divorando e non voglio che mio figlio sappia. La mattina del 16 marzo ero su di una moto e operavo alle dipendenze del colonnello Guglielmi, con me alla guida della moto un altro uomo proveniente come me da Torino; il nostro compito era quello di proteggere le Br nella loro azione da disturbi di qualsiasi genere. Io non credo che voi giornalisti non sappiate come veramente andarono le cose ma nel caso fosse così, provate a parlare con chi guidava la moto, è possibile che voglia farlo, da allora non ci siamo più parlati, anche se ho avuto modo di incontralo ultimamente…”.

L’anonimo forniva elementi per rintracciare il guidatore della Honda: il nome di una donna e di un negozio di Torino. “Tanto io posso dire, sta a voi decidere se saperne di più”. Il quotidiano all’epoca passò alla Questura la lettera per i dovuti riscontri. A Rossi, che ha sempre lavorato nell’antiterrorismo, la lettera arriva sul tavolo nel febbraio 2011 in modo casuale. Non è protocollata e non sono stati fatti accertamenti, ma ci vuole poco a identificare il presunto guidatore della Honda di via Fani che secondo un testimone ritenuto molto credibile era a volto scoperto e aveva tratti del viso che ricordavano Eduardo De Filippo. “Non so bene perché ma questa inchiesta trova subito ostacoli. Chiedo di fare riscontri ma non sono accontentato. L’uomo su cui indago ha, regolarmente registrate, due pistole. Una è molto particolare: una Drulov cecoslovacca; pistola da specialisti a canna molto lunga, di precisione. Assomiglia ad una mitraglietta”.

“Per non lasciare cadere tutto nel solito nulla predispongo un controllo amministrativo nell’abitazione. L’uomo si è separato legalmente. Parlo con lui al telefono e mi indica dove è la prima pistola, una Beretta, ma nulla mi dice della seconda. Allora l’accertamento amministrativo diventa perquisizione e in cantina, in un armadio, ricordo, trovammo la pistola Drulov poggiata accanto o sopra una copia dell’edizione straordinaria cellofanata de La Repubblica del 16 marzo”. Il titolo era: “Aldo Moro rapito dalle Brigate Rosse”.

“Nel frattempo – continua Rossi – erano arrivati i carabinieri non si sa bene chiamati da chi. Consegno le due pistole e gli oggetti sequestrati alla Digos di Cuneo. Chiedo subito di interrogare l’uomo che all’epoca vive in Toscana. Autorizzazione negata. Chiedo di periziare le due pistole. Negato. Ho qualche ‘incomprensione’ nel mio ufficio. La situazione si ‘congela’ e non si fa nessun altro passo, che io sappia”.

“Capisco che è meglio che me ne vada e nell’agosto del 2012 vado in pensione a 56 anni. Tempo dopo, una ‘voce amica’ di cui mi fido – dice l’ex poliziotto – m’informa che l’uomo su cui indagavo è morto dopo l’estate del 2012 e che le due armi sono state distrutte senza effettuare le perizie balistiche che avevo consigliato di fare. Ho aspettato mesi. I fatti sono più importanti delle persone e per questo decido di raccontare l’inchiesta ‘incompiuta’”.

Rossi ricorda, sequestrò una foto, che quell’uomo aveva un viso allungato, simile a quello di De Filippo: “Sì, gli assomigliava”. Fin qui l’ex ispettore, che rimarca di parlare senza alcun risentimento personale ma solo perché “quella è stata un’occasione persa. E bisogna parlare per rispetto dei morti”. Il signore su cui indagava Rossi è effettivamente morto – ha accertato l’Ansa – nel settembre del 2012 in Toscana. Le pistole sembrerebbero essere state effettivamente distrutte, ma il fascicolo che contiene tutta la storia dei due presunti passeggeri della Honda è stato trasferito da Torino a Roma dove è tuttora aperta un’inchiesta della magistratura sul caso Moro

www.ilfattoquotidiano.it/2014/03/23/caso-moro-ex-poliziotto-allansa-i-servizi-protessero-le-br-in-via-fani...

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23/03/2014 16:03

Volevo pubblicare io la notizia, che dire? Shocking!



23/03/2014 20:22

Sono la persona più lontana dal complottismo ma per capire quanto tutto quello che ci hanno raccontato sul caso Moro sia solo una gigantesca farsa basta mettere in ordine i fatti. Ad iniziare dalla biografia di Mario Moretti. Leggete un libro a caso di Sergio Flamigni.
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23/03/2014 21:17

Un pezzetto di verità alla volta.



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