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Napoli, 17enne ucciso, carabiniere indagato per omicidio colposo

Ultimo Aggiornamento: 11/11/2018 02:59
08/09/2014 15:54

I piani sono molteplici. Sotto il profilo giuridico, la fattispecie più attinente mi sembra l'omicidio volontario con dolo eventuale, visto che non siamo nel far west. Dal punto di vista individuale direi che se scegli di girare con certa gente sei consapevole di correre certi rischi, anche a 17 anni, visto che il piombo non discrimina. Per quanto riguarda il versante sociale nient'altro che un pretesto per sfogare una rabbia che non è certo nata avantieri: la vittima farà la fine di tante altre, anche più innocenti, tipo Annalisa Durante, venendo velocemente dimenticata.
[Modificato da the fire bug 08/09/2014 15:56]
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08/09/2014 16:26

=Condor11=, 08/09/2014 14:17:

Il problema è che nella categoria di "criminale" rientra una casistica di comportamenti che vanno dall'associazione mafiosa all'andare in 3 sul motorino.


the fire bug, 08/09/2014 15:54:

il piombo non discrimina


[SM=g2486768]

Comunque Condor e fire hanno toccato dei punti molto importanti, alcuni meriterebbero di essere ampliati, in ogni caso direi di seguire l'iter giudiziario, per il momento almeno non ci sono stati scontri.



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08/09/2014 19:43

Il dolo eventuale è una figura che a me non fa impazzire, o è dolo o è colpa, troppo vaghi i contorni in una discriminazione già di per sè vaga (stabilire a posteriori dinamiche mentali è sempre arduo). Per questo io preferirei fermarmi all'omicidio colposo col massimo della pena.
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08/09/2014 20:52

... che poi sarà proprio quello, né più né meno.



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08/09/2014 20:55

... però se fire ci becca gli faccio una statua.



09/09/2014 10:26

ricicardo, 08/09/2014 19:43:

Il dolo eventuale è una figura che a me non fa impazzire, o è dolo o è colpa, troppo vaghi i contorni in una discriminazione già di per sè vaga (stabilire a posteriori dinamiche mentali è sempre arduo). Per questo io preferirei fermarmi all'omicidio colposo col massimo della pena.



Spari in una situazione in cui sai che hai un'altra probabilità di causare un morto. L'omicidio colposo varrebbe solo nel caso in cui si dovesse credere al fatto che sia inciampato, finendo col centrare al cuore un bersaglio in movimento. L'unica sua colpa a quel punto sarebbe quella di essere inciampato, dato che il non aver innestato la sicura del carrello non può essere definita una colpa, perché in quelle situazioni le regole d'ingaggio prevedono che possano essere esplosi colpi in aria. Ma può essere definito un comportamento colposo che vorrei ricordarvi si verifica quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per l'inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (art.43 CP), il fatto di inciampare in un marciapiede durante un inseguimento? Del resto c'è chi crede ai sassi volanti e alle reti devianti, c'è caso che il nuovo must sia il marciapiede inciampante.
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09/09/2014 13:05

Diciamo che bisognerebbe capire bene cos'è successo, la ricostruzione dei carabinieri è questa:

www.corriere.it/foto-gallery/cronache/14_settembre_06/napoli-ragazzo-ucciso-ricostruzione-carabinieri-d1d38a5c-358f-11e4-bdcf-fc2cde1011...

Però mi pare che ci sia di più, tipo una collutazione a causa della quale il carabiniere ha perso l'equilibrio. La famiglia ha annunciato l'esistenza di un sacco di testimoni, vedremo.
Riguardo il delitto colposo, è un tipo di delitto che viene definito anche "contro l'intenzione", in questo caso si suppone che il carabiniere non volesse uccidere il ragazzo, ovviamente la volontà caratterizzerebbe il dolo.
Non ha tutti i torti fire, ma finché non abbiamo alcuni dati è un po' difficile arrivare a delle conclusioni, intanto bisogna capire cos'era questo alt e se è stato fatto per i ragazzi o se faceva parte di un'operazione di qualche genere e, ancora più importante, la dinamica dell'omicidio.
Anche ci fosse stata una collutazione di sicuro non la fai con una pistola puntata in quel modo e senza sicura, occorre capire i motivi e addirittura dibattere dell'esistenza dei motivi stessi di alcune scelte.
Attendiamo una vera ricostruzione e non le solite cavolate giornalistiche.



09/09/2014 14:27


Il Consigliere della Corte d’Appello di Bologna Luca Ghedini è l’estensore della sentenza d’appello del processo sull’omicidio di Federico Aldrovandi. Descrivendo la vicenda, l’estensore della sentenza parlò esplicitamente di “manipolazioni ordite dai superiori” dei quattro assassini di Federico e di “modalità gratuitamente violente”, nei momenti in cui l’omicidio veniva consumato. Parole che confermavano i contenuti della celebre sentenza di primo grado, firmata dal giudice Caruso, e che trovavano riscontro anche successivamente in Cassazione dove i quattro poliziotti vennero definite “schegge impazzite”. Prendiamo avvio dall’ultimo episodio di malapolizia avvenuto a Napoli, dove nel ghetto del Rione Traiano un ragazzo di 17 anni, Davide Bifolco, è stato ucciso da “un colpo accidentale” sparato da un carabiniere.



Dott. Ghedini, è successo ancora. Un giovane non si ferma a un posto di blocco e al culmine dell’inseguimento parte un “colpo accidentale”. Quando sente parlare di “colpi accidentali”, e la storia della malapolizia è piena di colpi partiti per sbaglio, quali valutazioni fa da cittadino prima, da magistrato poi?
Da cittadino ma anche da magistrato - mi è difficile separare le due vesti - posso dire che non so se anche questa volta si è trattato del solito “colpo accidentale” tante, troppe volte partito da un’arma delle forze di polizia; di certo la situazione di degrado del Rione Traiano dove è maturato l’episodio non può certo essere considerata “accidentale”. Troppe aree del paese sono abbandonate dagli organi dello stato - gli stessi da cui, a volte, partono i colpi accidentali - al predominio della criminalità che si fa spazio grazie alla mancanza di alternative. Anche lì ci sarà del “grasso che cola”?

Non trova che sia un’anomalia il fatto che le indagini sull’evento vengano affidate all’Arma dei carabinieri, corpo di appartenenza dell’indagato? Cosa prevede la legge al riguardo?
La legge nulla prevede; il “buon senso investigativo”, invece, dovrebbe prevedere che, quanto meno, le indagini in ordine ad un ipotesi di reato commessa da appartenenti ad un corpo di polizia vengano svolte da diverso organo investigativo.

Nella vicenda Aldrovandi avvenne la medesima cosa. Sulla scena del delitto ad indagare c’erano i colleghi dei quattro che fermarono Federico. Noi riteniamo che le anomalie di tanti processi di malapolizia, derivino proprio dalla mancanza di indipendenza e oggettività nelle indagini. Un vero e proprio conflitto d’interessi e competenze: lei è d’accordo?
La vicenda della morte di Federico Aldrovandi - avvenuta per l’accertato omicidio colposo ad opera dei quattro agenti della Polizia di Stato della Questura di Ferrara - è ancora diversa rispetto a quella in cui ha trovato la morte il giovane Davide Bifolco: infatti, sin dalle prime battute la Polizia di Stato - e di concerto la Procura della Repubblica competente - non procedettero ad indagine alcuna in ordine alle condotte dei quattro agenti, ma si indirizzarono - in tal senso orientando anche gli accertamenti medico legali - a tentare di dimostrare che la causa di morte di Aldrovandi poteva e doveva essere legata ad un preteso abuso di sostanze stupefacenti.

Nel “caso Aldrovandi” la “deviazione investigativa” è stata immediata ed assoluta, sin dalle prime ore di quella mattina del 25 settembre; il documentario di Filippo Vendemmiati “E’ stato morto un ragazzo”, che spero tutti abbiano visto, documenta con agghiacciante precisione l’affanno con il quale i colleghi dei quattro condannati cercavano, mentre il telefono di Federico Aldrovandi, che ancora giaceva sul selciato di via Ippodromo, squillava a vuoto per le chiamate dei genitori, prove della pretesa agitazione psico - motoria della quale il giovane sarebbe stato preda.

Da giudice, come ha dovuto gestire tutti gli aspetti inerenti i depistaggi nel processo Aldrovandi?
Come giudici d’appello, altro non abbiamo potuto fare che prendere atto delle dinamiche processuali già svoltesi e “consumatesi” nella fase delle indagini preliminari prima e del processo di primo grado poi. La forza e il coraggio delle parti civili e l’abile perseveranza del loro collegio difensivo ha fatto sì che nel corso del processo di primo grado, sia stato possibile squarciare il velo frapposto dai c.d. “depistaggi” della prima ora. Ciò che niente e nessuno ha potuto - o voluto - evitare è stata la sottovalutazione, dal punto di vista della configurazione giuridica, del fatto: è evidente - lo si legge “in trasparenza” nella stessa sentenza d’appello, che non di omicidio colposo per eccesso nell’uso della forza si è trattato, bensì di un’ipotesi quasi di scuola di omicidio preterintenzionale che come tale meritava di essere vagliato e giudicato.

Nel caso di Davide Bifolco, cosa sarebbe auspicabile per preservare la trasparenza delle indagini?
Un Pubblico Ministero autonomo dalla polizia giudiziaria. In verità, il codice di procedura del 1989 aveva previsto l’istituzione di Sezioni di Polizia Giudiziaria presso le Procure della Repubblica, alle dirette dipendenze del Procuratore della Repubblica; purtroppo la previsione è stata svuotata di contenuto da un lato dalle ristrettezze degli organici assegnati e, dall’altro, dalla prassi distorta che ha visto molto spesso gli ufficiali di Polizia Giudiziaria addetti a funzioni di segreteria presso le Procure, a sollievo delle carenze di organico del personale amministrativo. Se, invece, nel corso degli anni si fosse sviluppata una forza di polizia giudiziaria autonoma dai comandi di provenienza, alle dirette e vere dipendenze del Pubblico Ministero, lo svolgimento di indagini nei confronti degli appartenenti ad altre forze dell’ordine sarebbe più facile.

A norma di legge, è esatto dire che l’imprinting del processo sarà determinato da quanto contenuto nei verbali dei carabinieri
Si, ma non del tutto: un ruolo importante avranno anche gli accertamenti di natura tecnico - scientifica e, quindi, anche il livello di “autonomia” dei periti.

La prospettiva sociologica più accreditata per questo tipo di eventi delittuosi è che le vittime siano sempre cittadini ai margini della società. Il Rione Traiano a Napoli è soprannominato il “Bronx” ed è un posto, se possibile, peggiore di Scampia o dei Quartieri Spagnoli: spaccio, camorra, criminalità. Vivere in quei posti non significa necessariamente appartenere a certi ambienti, ma respirarli sì, sicuramente. Si può parlare di un conflitto sociale in atto tra fasce marginali o deviate della società e forze dell’ordine?
Rischio di fare della sociologia d’accatto: il conflitto forse si crea nel momento in cui le forze dell’ordine non vengono - a torto o a ragione - più viste come portatrici di legalità.

Quali le soluzioni giuridiche e procedurali per garantire ai processi di malapolizia la massima trasparenza, ed evitare di arrivare a paradossi incredibili come il controllo assoluto del Pm Agostino Abate sul processo Uva, la morte violenta di Marcello Lonzi spacciata per infarto, o i proiettili deviati dai sassi?
Dell’esigenza di una forza di polizia indipendente ho già accennato; come spesso accade nel nostro paese, “le norme ci sono, basta applicarle correttamente”: il processo Uva, ad esempio, ha mostrato in modo inequivocabile l’opacità dell’applicazione del modello organizzativo delle Procure della Repubblica. La Procura della Repubblica è configurata dal nostro ordinamento - giustamente, a mio avviso - come un ufficio gerarchico: nell’ambito della delega di un procedimento il sostituto procuratore è autonomo ma risponde al Procuratore Capo che, eventualmente, può ritirare la delega ed assegnarla ad altro magistrato. Grazie al documentario “Nei secoli fedele” ed alla diffusione delle videoregistrazioni, ad esempio, degli interrogatori del testimone Bigioggero e del senatore Manconi, tutti abbiamo potuto valutare il tipo e le modalità di conduzione delle indagini da parte di uno dei titolari delle indagini.

Perché non è stata ritirata la delega e perché la Procura Generale ha rigettato l’istanza di avocazione? Una ventina (e più, non tutto è iniziato con l’era Berlusconiana), di attacchi frontali alla magistratura ci ha tolto la capacità di guardare al nostro interno: è diventato più comodo auto assolverci da ogni “peccato” perché dovevamo difenderci da “attacchi esterni”.

Quanto incidono i rapporti tra magistratura e polizia giudiziaria?
Troppo.

L’elevato livello di attenzione raggiunto intorno alla malapolizia non sembra corrispondere a una diminuzione degli episodi né a una maggior consapevolezza da parte delle forze dell’ordine nella gestione di situazioni di crisi. Cosa manca perché si giunga a una “pacificazione” in questo senso?
Una “rifondazione” delle forze di polizia e della loro formazione.

La gestione dei processi di malapolizia può essere la cartina di tornasole, una delle tante, dello stato in cui versa la giustizia italiana?
Si, ma non è un sintomo così grave come la domanda sembra suggerire: io non credo che i casi di “malapolizia” un tempo fossero più rari di ora, tutt’altro; i processi ora si fanno, alcuni bene, molti male, ma almeno si fanno.

Il suo auspicio per il processo su Davide Bifolco e sui tanti ancora in corso…
Che parti offese e indagati possano avere un processo serio.


contropiano.org/

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09/09/2014 14:46

Il "processo serio" ci sarà sicuramente, però ho come l'impressione che, nonostante l'intervista molto esplicativa, Ghedini si contraddica.
Prima dice...


Non trova che sia un’anomalia il fatto che le indagini sull’evento vengano affidate all’Arma dei carabinieri, corpo di appartenenza dell’indagato? Cosa prevede la legge al riguardo?
La legge nulla prevede; il “buon senso investigativo”, invece, dovrebbe prevedere che, quanto meno, le indagini in ordine ad un ipotesi di reato commessa da appartenenti ad un corpo di polizia vengano svolte da diverso organo investigativo.


... e poi sostiene...


Quali le soluzioni giuridiche e procedurali per garantire ai processi di malapolizia la massima trasparenza, ed evitare di arrivare a paradossi incredibili come il controllo assoluto del Pm Agostino Abate sul processo Uva, la morte violenta di Marcello Lonzi spacciata per infarto, o i proiettili deviati dai sassi?
Dell’esigenza di una forza di polizia indipendente ho già accennato; come spesso accade nel nostro paese, “le norme ci sono, basta applicarle correttamente”: il processo Uva, ad esempio, ha mostrato in modo inequivocabile l’opacità dell’applicazione del modello organizzativo delle Procure della Repubblica. La Procura della Repubblica è configurata dal nostro ordinamento - giustamente, a mio avviso - come un ufficio gerarchico: nell’ambito della delega di un procedimento il sostituto procuratore è autonomo ma risponde al Procuratore Capo che, eventualmente, può ritirare la delega ed assegnarla ad altro magistrato. Grazie al documentario “Nei secoli fedele” ed alla diffusione delle videoregistrazioni, ad esempio, degli interrogatori del testimone Bigioggero e del senatore Manconi, tutti abbiamo potuto valutare il tipo e le modalità di conduzione delle indagini da parte di uno dei titolari delle indagini.


Io comunque penso che in questi casi sia avvocati che magistrati dovrebbero avere non solo una preparazione giuridica ma anche inerente alle scienze forensi, ci si scorda che nelle sentenze le perizie e le consulenze tecniche pesano molto di più di una volta e che la legge è la legge ma la scienza è la scienza, vi cito questo articolo che ne parla specificatamente:

www.earmi.it/varie/scienze%20forensi.html

Magari divago, comunque è una questione che ritengo interessante da sempre.



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09/09/2014 15:16


Un Pubblico Ministero autonomo dalla polizia giudiziaria. In verità, il codice di procedura del 1989 aveva previsto l’istituzione di Sezioni di Polizia Giudiziaria presso le Procure della Repubblica, alle dirette dipendenze del Procuratore della Repubblica; purtroppo la previsione è stata svuotata di contenuto da un lato dalle ristrettezze degli organici assegnati e, dall’altro, dalla prassi distorta che ha visto molto spesso gli ufficiali di Polizia Giudiziaria addetti a funzioni di segreteria presso le Procure, a sollievo delle carenze di organico del personale amministrativo. Se, invece, nel corso degli anni si fosse sviluppata una forza di polizia giudiziaria autonoma dai comandi di provenienza, alle dirette e vere dipendenze del Pubblico Ministero, lo svolgimento di indagini nei confronti degli appartenenti ad altre forze dell’ordine sarebbe più facile.


Concordo su questa risposta, ma ovviamente in Italia non riusciamo nelle piccole cose figuriamoci in queste!

Mentre tendo a odiare i periti, troppo spesso emettono pareri o fanno ricostruzioni non del tutto veritiere, solo per sostenere la versione di una parte: loro finito di dare il proprio contributo tornano a casa normalmente quasi non preoccupandosi degli effetti che le proprie parole, spesso appunto non genuine e trasparenti, potranno avere sulla vita di alcune persone!
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09/09/2014 16:07

ricicardo, 09/09/2014 15:16:

Mentre tendo a odiare i periti, troppo spesso emettono pareri o fanno ricostruzioni non del tutto veritiere, solo per sostenere la versione di una parte: loro finito di dare il proprio contributo tornano a casa normalmente quasi non preoccupandosi degli effetti che le proprie parole, spesso appunto non genuine e trasparenti, potranno avere sulla vita di alcune persone!


Non sei il solo... proprio per questo occorre una preparazione adeguata anche dei giudici nelle scienze forensi al fine di capire o almeno intuire le vaccate che vanno a fare, vedi link nel mio precedente post.
Quasi tutti i colpi di scena negli ultimi processi sono conseguiti da scelte sbagliate dei giudici o periti non adatti a fare certi tipi di perizie, basti pensare alla Vecchiotti (che ha scagionato la Knox e Sollecito in secondo grado) che è un medico legale e non un genetista e che aveva già sbagliato nel caso dell'Olgiata o a Corrado Maria Cipolla d'Abruzzo, un anatomopatologo e non un odontoiatra forense che ha scagionato Busco (delitto di via Poma).
Beninteso: non prendo posizioni su persone in particolare, tutto questo solo pour parler e in base a notizie reperite da internet che possono essere sbagliate e/o parziali.
In Italia bisogna fare un riformone del diritto penale sostanziale e procedurale che includa tutte le nuove conoscenze scientifiche, altroché la Palomba e Quarto Grado...
Comunque date un'occhiata qui:

www.viverepescara.it/index.php?page=articolo&articolo_i...

Nel dossier, il legale aveva evidenziato una serie di anomalie nell’indagine condotta dai carabinieri di Pescara, con conseguente istanza per la riapertura dell’inchiesta. La querela presentata lo scorso giugno contro i carabinieri, ipotizzava i reati di inquinamento delle prove, omissione di atti di ufficio e violazione dei dati informatici. In particolare, l’avvocato Mecchi aveva sottolineato la sparizione di alcune intercettazioni telefoniche, l’accesso abusivo (a quanto sembra operato da un carabiniere) alla pagina Facebook del ragazzo e soprattutto un misterioso sms partito da un conoscente di Roberto prima del ritrovamento, il cui contenuto non è stato ancora reso pubblico ma che, stando alle accuse della famiglia Straccia, non sarebbe mai stato preso in considerazione dagli inquirenti.

Notizia fresca fresca di... adesso.



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12/09/2014 19:19

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12/09/2014 20:30

La TV, e quindi non certo un mezzo imparziale ma comunque uno dei pochi che abbiamo a disposizione per questo genere di ricerche, dà un'immagine di Napoli molto negativa, fatta di zone "franche" in cui la polizia non può nemmeno entrare senza rieschiare i proiettili e in cui la criminalità organizzata dona alle famiglie 100 euro a settimana (fonte: Matrix di ieri).
Oggi lo zio della vittima ha detto che i ragazzi a Napoli sono lasciati soli e che le istituzioni nella città partenopea non ci sono.



12/09/2014 21:17

regà ma in italia i quartieri ghetto in cui non vige lo stato di diritto ma la legge della strada sono LA regola da Milano a Palermo (passando chiaramente anche per Napoli)
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13/09/2014 01:11

Su questo si potrebbe sindacare, ma con le debite conoscenze che non abbiamo e comunque non è quella la questione.
Rifacendoci a ciò che ha detto lo zio, vogliono le Istituzioni o no? Perché volere le Istituzioni significa trovarsi carabinieri, poliziotti e finanzieri perfino dentro le mutande, i posti di blocco sono il minimo.



13/09/2014 01:59

E' un discorso complesso, non so se sia lo spazio giusto per affrontarlo, né se interessi a qualcuno.
Secondo me dobbiamo tenere distinti i piani:

se vogliamo parlare dell'impatto della criminalità organizzata all'interno di un dato tessuto sociale allora togliamo per un attimo dal discorso le zone franche, Traiano e Scampia perché quei posti non sono tanto diversi da Quarto Oggiaro, lo Zen o il Bronx. Si tratta di microcosmi fisiologici all'interno di grandi agglomerati urbani che vivono di regole proprie in cui lo Stato non è in grado e soprattutto non ha intenzione di ficcare il naso. I ghetti, checché ne dicano a parole, alla fin fine stanno bene a tutti meno a quelli che ci vivono.
Quei posti, a tutte le latitudini, sono chiaramente bacini di manovalanza per la piccola e grande criminalità ma è dal fermo che ti fa uno con le hogan in un quartiere tranquillo che ti fai un quadro più chiaro della faccenda. Purtroppo non è tutto circoscrivile al degrado di alcune aree.
Alla fine non penso neppure sia un problema "culturale", è più una questione di "presenza". Per dire: la Mala del Brenta ricevette aiuto, omertà, collaborazione da tutta una comunità. Insomma, discorso lungo.

Tornando alle parole dello zio: ha detto il vero, ma dovremmo metterci d'accordo su cosa significhi "presenza delle istituzioni", perché dubito che aumentare i posti di blocco o militarizzare l'area possa risolvere anche minimamente il problema
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13/09/2014 02:39

Sull'ultima parte del tuo post: ovviamente non bisognerebbe militarizzare Napoli, intendevo dire che se si vuole la presenza delle Istituzioni bisogna tenere presente che ci sono diritti ma anche doveri.
Pagare le tasse, occuparsi delle zone comuni, rispettare tutti (compresi i tutori dell'ordine, per cui la loro presenza anche in interventi "duri" dev'essere accettata) e creare un ambiente dove ci sia legalità diffusa: se speriamo che le Istituzioni cambino radicalmente tutto in meglio stiamo freschi, è come chiedere a un podologo di rimettere in sesto un tizio che ha una gamba in cancrena.



16/09/2014 09:50

=Condor11=, 12/09/2014 21:17:

regà ma in italia i quartieri ghetto in cui non vige lo stato di diritto ma la legge della strada sono LA regola da Milano a Palermo (passando chiaramente anche per Napoli)



Non solo in Italia, ovunque. Però anche tra i ghetti ci sono ghetti e ghettastri, perché altrimenti, omologando tutto, nascere in un ghetto di Zurigo o in uno di Karachi è la stessa cosa. Eh, non proprio. Parlando da esterno, cercando di osservare il problema di fuori, provando a spaccarmi la testa per cercare di capirlo se non appieno, quantomeno in minima parte, a me sembra che il problema specifico della città sia dato dal fatto che non ci sia una via di mezzo tra i pochi quartieri benestanti e la moltitudine di quartieri dove la disperazione, l'assenza di prospettive, l'orizzonte con vista ventiquattro ore è il pane quotidiano. E se nei primi probabilmente si vive mediamente meglio rispetto a Roma, Milano o Torino, anche per una serie di valori prepolitici e prereligiosi che fanno in modo che le libertà non diventino licenze, negli altri si vive mediamente molto peggio: un problema circoscritto lo affronti, lo gestisci, lo canalizzi, se il problema è (gran parte del)la città diventa too big to solve. E questo comporta quello che comporta - dalle banalità come le contravvenzioni nell'utilizzo degli scooter agli eventi più tragici come le sparatorie in mezzo alla strada - su cui poi s'innestano la mancanza di investimenti pubblici per alleviare il malessere sociale, l'incapacità frammista alla non volontà politica di affrontare le questioni, eccetera. E' utopia pensare di non avere quartieri ghetto in una metropoli di un milione di abitanti ma la strategia dovrebbe essere quella di ridurli il più possibile.
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18/09/2014 13:48

Il discorso non voleva essere quello, comunque tutto molto interessante.
C'è da dire che spesso la nomea di "ghetto" è pompata da chi nel quartiere non ci vive e comunque le cose possono cambiare in meglio in pochi anni, ovviamente dipende tutto dalle amministrazioni comunali e, a mio avviso, dalla volontà di spendere soldi dei propietari degli immobili.
Conosco quartieri della mia città che 10 anni fa erano dei veri e propri casini (anche letterali) e che adesso sono dei fiori all'occhiello: ieri sono andato in un ex borgo malfamato e sono rimasto così → [SM=g2486791]... ville e condomini perfetti, tantissimo verde, playground dappertutto, servizi, bici lasciate incustodite e addirittura un monumento in onore delle famiglie che hanno contribuito al cambiamento del luogo.



18/09/2014 14:45

Da questo punto di vista uno dei miracoli italiani dell'ultimo decennio è stato San Salvario a Torino, anche grazie ai quattrini delle Olimpiadi. Ma anche lì, parliamo di UN quartiere. Le chiacchiere stanno a zero: la quantità influenza la qualità, soprattutto quando i denari scarseggiano.
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