Cito due parti dell'articolo.
Dopo otto consecutive stagioni immersi senza soluzione di continuità nell’inaspettato, possiamo anche sussurrarcelo che lo smart working è una nuova forma di prigionia.
Perché, se è vero che lavorare dalle abitazioni può comportare innegabili comfort (letto bagno cucina e tv, tutto a portata di mano) dall’altra la pandemia ci ha spediti troppo velocemente in un mondo che avevamo solo immaginato, o idealizzato, che era maniera intelligente, col senno di poi, per tenersene alla larga. Invece, diciamocelo, gli innovativi uomini del nord erano da decenni calati nel lavoro da remoto solo per evitare di uscire la mattina all’alba e affrontare un muro di ghiaccio e una temperatura che a quelle latitudini fa male anche a chi è di casa. Come sempre è il clima a istruire le abitudini. Ma gli altri, cioè noi che viviamo nei climi temperati, siamo da sempre abituati ad uscire la mattina col piacere che l’aria sparge sulla pelle e il sole negli occhi – e anche se piovesse è pur sempre un diversivo da maledire con simpatia. Quelle seppur scomode traversate verso la zona franca che chiamiamo ufficio, hanno il sapore di avventura quotidiana, per un’andata e ritorno che esalta il sottile piacere di avere un luogo dal quale uscire e nel quale la sera, appagati, rientrare.
In pratica sono quegli articoli in cui dicono tutto per non dire niente, solo che l'autore è annoiato dallo smart working. 😂
Non conosco tante esperienze lavorative ma posso garantire che la DAD se fatta bene è sfiancante e non lascia troppi spazi per annoiarsi. In pratica sto dicendo: chi si lamenta dello smart working lavora veramente? 😅