Inattivo da tre anni, è ritornato in campo a 42
Roberto Dalla Vecchia è di nuovo in campo. Il lungo gialloblù, bandiera nei tempi d’oro del basket veronese, dopo tre anni di inattività dall’esperienza con la Sanzeno in C1, è tornato a giocare, ’tradendo’ i colori gialloblù per quelli gialloverdi del Tosoni Villafranca.
I quarantadue anni ed una serie lunghissima di infortuni (l’ultimo in un
incidente stradale che ha interessato braccio e spalla), che hanno parzialmente intaccato il fisico, ancora asciutto e atletico, non hanno negato l’ennesima chances a Robi,
il giocatore più amato dai tifosi della Verona dei canestri.
Domenica scorsa, nella sfida contro il Castelfranco, il pubblico di Villafranca ha aspettato paziente l’entrata in campo del gigante gialloblù, un’attesa che è stata ricompensata: ovazione al 5’
sul suo primo tiro, una tripla segnata, quando era ancora freddo di panchina.
Nove punti e gara vinta: en plein...
«Si, è andata bene, il Tosoni ha vinto, questo conta».
Un po’ di emozione iniziale?
«
E’ normale, tornare ad indossare una maglia con su stampato un numero, ti spinge a tornare indietro con i ricordi: non importa in che categoria la metti, ma cosa continua a significare per te. Era da tempo che non giocavo e con tutti gli acciacchi che ho, tuttora devo gestire e rispettare i limiti fisici. Ho iniziato ad allenarmi solo da qualche settimana, prima mi limitavo a dare una mano e qualche suggerimento ai nostri lunghi, poi mi sono trovato a confrontarmi più seriamente con loro. E domenica con gli avversari».
Felice di essere ancora applaudito?
«Senza dubbio, ma domenica ero molto concentrato sulla gara, volevo dare il mio contributo, quello che i miei compagni si aspettavano da me».
Immaginava che prima o dopo coach Calza sarebbe ricorso a lei?
«No, con lui dovevo solo dividere la panchina, a me spettava seguire gli allenamenti dei lunghi, ma abbiamo avuto qualche defezione per infortuni o influenze. Inoltre la squadra in questo ultimo periodo ha perso un po’ di smalto ed in campo necessitava di una guida, per ritrovare coraggio e aggressività».
Quindi lei sta al Tosoni come Zamberlan sta alla In Job, l’esperienza al servizio del gruppo.
«Con qualche debita differenza. Zamberlan ha un paio di anni più di me, ma fisicamente è messo meglio, non per niente lui in C1 gioca, nel senso completo della parola; io in C2 ci sono per sbaglio».
Con Calza ha condiviso la panchina come allenatore. E adesso?
«Non cambia niente e non è detto che non torni a star seduto in panchina per dare suggerimenti. Siamo un gruppo compatto, ci divertiamo, ma la squadra ha raccolto risultati inattesi senza di me».
Non vuole più giocare?
«Tutto dipende dalla mia caviglia, se risponde bene magari mi prenderò qualche altra soddisfazione».
Difficile dire no al basket.
«Dovrei estirparlo, ma
fa parte della mia vita. Speravo che allenare potesse tenere a bada la passione, ma poi in campo non si riesce star lontani dal pallone, lo si prede in mano, si inizia a palleggiare, poi arriva il primo tiro, la sfida nell’uno contro uno, a rimbalzo, e un’azione tira l’altra, come le ciliegine, fino a che si torna a giocare».
Anna Perlini
www.larena.it