Nella notte la franchigia californiana ha cercato di mettere una pezza alla situazione, spiegando che nessuna decisione è stata ufficialmente presa (in realtà nello spogliatoio dei Warriors sarebbe stato votato all’unanimità il no al ricevimento da Trump). La successione dei fatti spiega l’imbarazzo: Golden State non ha detto che i giocatori andranno alla Casa Bianca, ma soltanto che dalla residenza del presidente degli Stati Uniti non è ancora arrivato alcun invito. Una ragione bizzarra, dato che l’invito nei confronti di chi vince il titolo NBA è automatico, persino sottinteso. “Se e quando verremo invitati, prenderemo la decisione” hanno fatto sapere dalla franchigia, che si ritroverebbe a fare i conti con una situazione particolare. Un no all’unanimità sarebbe una posizione più drastica rispetto ai New England Patriots, che per celebrare il trionfo nel Super Bowl si sono presentati in formazione d’emergenza (senza la stella Tom Brady), mentre proprio ieri i Pittsburgh Penguins - campioni dell’hockey NHL - hanno accettato l’invito alla Casa Bianca. Anche se l’opinione pubblica ha fatto subito notare che a differenza dei Penguins, i Warriors sono composti in maggioranza da giocatori afroamericani, sostenitori di Barack Obama e che alle ultime elezioni avevano supportato, anche pubblicamente, Hillary Clinton.
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